Sull’Agricultural Research magazine dell’USDA è stato recentemente pubblicato il risultato di uno studio comprativo (a onor del vero poco dettagliato) tra le farine di soia e di colza utilizzate come fonti proteiche.

Occorre ricordare che soia e colza, colture molto diverse dal punto di vista agronomico, nel momento in cui vengono destinate all’alimentazione del bovini, richiedono un approccio diverso, con il fine comune di evitare problemi agli animali.

La soia tal quale, cruda, contiene alcuni fattori antinutrizionali, in grado di inibire l’attività enzimatica della tripsina, limitando così la disponibilità della metionina e di altri amminoacidi. Il contenuto in fattori antitripsici per quanto riguarda il seme integrale crudo, varia da 21,1 mg/g a 31,1 mg/g che corrisponde a 50 a 58 mg/g nella farina integrale. Tali fattori antinutritivi sono termolabili, è necessario quindi, onde evitare una riduzione della disponibilità di proteina, sottoporre il prodotto ad un trattamento termico (tostatura).

 

Dopo l’estrazione dell’olio si procede quindi ad un trattamento termico delle farine ad alte temperature (100-105 °C). La quantità di proteina nella farina di soia varia dal 40% (ss) per la farina integrale a valori che superano il 45% per le farine di estrazione 45, fino raggiungere valori vicini al 55% per le farine di estrazione 50.

Per il colza il problema del seme come alimento non è legato a dei fattori antinutrizionali ma alla presenza di Acido Erucico e Glucosinolati. L’Acido Erucico è un acido grasso che “riassumendo” potremmo definire tossico per l’organismo (Tossina vegetale naturale secondo il Min. della Salute) perché tende a depositarsi nelle cellule, essendo metabolicamente poco utilizzato (ossidato).

I Glucosinolati invece sono delle sostanze ad effetto goitrogeno, sostanze che inibiscono quindi la funzione della tiroide interferendo con il metabolismo dello iodio, cosa che può comportare ipotiroidismo e aumento di volume della tiroide (gozzo). Le varietà e/o gli ibridi indicati per la farine di Colza, sono quindi classificate come 00 (0 Acido Erucico, 0 glucosinolati). Mediamente la Farina di Colza contiene un 38% di proteina.

Precisato quindi che le farine di soia utilizzate non devono contenere fattori antinutrizionali e che la farine di colza devono derivare da varietà e/o ibridi 00, vediamo i risultati dello studio.

Glen Broderick, (ora in pensione) e i suoi colleghi ricercatori presso l’ASR  hanno diviso 50 vacche in lattazione in 5 gruppi variando la loro dieta secondo apporti alti e bassi di farina di soia, apporti alti e bassi di farina di colza e un mix con un basso contenuto sia di farine di colza che di soia.

Ciascun gruppo dopo aver ricevuto una dieta diversa ogni 3 settimane, è stato valutato per  la quantità di latte prodotta, per il tasso proteico dello stesso e la concentrazione di azoto nell’urina. Le diete sono state bilanciate per fornire adeguati livelli di proteine, includendo altresì insilato di  mais e di erba medica, farine a base di mais e frumento, vitamine supplementari, minerali e fibra.

Trascorso un periodo di 15 settimane, i ricercatori hanno osservato e misurato che le diete con il più altro apporto proteico derivante dalla farina di colza hanno reso più latte e con un tenore proteico superiore rispetto alle diete con farina di soia. L’effetto “colza” è stato il medesimo anche in presenza di bassi apporti proteici.

In particolare, le vacche alimentate con una dieta proteica a base colza, hanno prodotto una media 40,3 chili di latte al giorno, a fronte di 39,1 chili  prodotti da vacche alimentate con farina di soia (un 2,5% di differenza per capo). Anche il tenore proteico del latte prodotto dalla vacche alimentate con farina di colza ha visto un aumento. L’utilizzo della colza ha evidenziato anche una minore concentrazione di azoto nelle urine, quindi un effetto ambientale non secondario. Lo studio è stato parzialmente finanziato dal Canola Council of Canada

Attualmente la farina di colza vale 230 Euro/ton e quella di soia al 44% 306 Euro/ton ( Fonte: Ager). Se il vantaggio in termini di litri latte/giorno/capo, fosse confermato, l’utilizzo della farina di colza sembrerebbe anco più vantaggioso. Tuttavia non siamo riusciti a reperire lo studio completo e ignoriamo quindi una serie di variabili utili a comprendere il contesto nella sua completezza, come ad esempio la razza dei capi in lattazione e il n° medio di parti per capo, variabili che possono essere strettamente correlate con i risultati dello studio.

Ricordiamo anche che alcuni disciplinari di produzione di alcuni formaggi possono vietare l’utilizzo dei derivati del colza nella dieta.

Fonti:

http://alimenti.vet.unibo.it/item.aspx?id=C-02-08

http://agresearchmag.ars.usda.gov/2016/feb/canola/

http://www.salute.gov.it/imgs/C_17_pubblicazioni_2429_allegato.pdf