Mais: nuovi scenari per la guerra in Ucraina
Gli eventi bellici in corso stanno ridisegnando anche i programmi italiani di semina per il 2022. Il mais è la coltura più richiesta, causa carenze di prodotto a disposizione dei mangimifici
Le conseguenze del conflitto tra Russia e Ucraina stanno mostrando i propri effetti anche sul piano degli approvvigionamenti agricoli. Kiev può infatti contare su 32 milioni di ettari, per quasi metà coltivati a cereali, frumento tenero in primis. Stando a Coldiretti, nei soli primi dieci mesi del 2021, l’Italia avrebbe infatti importato dall’Ucraina 107mila tonnellate di grano tenero. Il grande Paese dell’Est europeo non produce però solo frumento, bensì anche girasole, coltura per la quale occupa il primo posto al mondo quanto a esportazioni, sia di semi sia di olio, grazie a produzioni di oltre 15 milioni di tonnellate. Terzo posto invece per la produzione di mais, con quasi 40 milioni di tonnellate. Produzioni, queste, che le permettono di classificarsi al quarto posto per le esportazioni.
E soprattutto il mais, pilastro degli allevamenti nostrani, è calato vistosamente in Italia negli ultimi anni. Se fra il 2006 e il 2008 se ne produceva quasi 10 milioni di tonnellate l’anno, nel 2021 tale cifra sarebbe invece calata a soli 6 milioni di tonnellate. Stando ad Assalzoo, però, solo per l’alimentazione animale ne occorrerebbero circa 9 milioni di tonnellate. Per colmare questo gap sarebbe quindi necessario coltivare in Italia almeno 300mila ettari in più degli attuali. La zootecnia nazionale si sta infatti mostrando oggi in serie difficoltà a causa dei cali di materie prime subiti dal settore mangimistico, tanto che alcuni allevatori stanno addirittura paventando l’abbattimento di una parte degli animali se nel volgere di 20-30 giorni non giungeranno nuove forniture.
Inoltre, secondo Federalimentare, il costo stesso del mais per i mangimifici sarebbe aumentato del 60-70% rispetto al 2020. Il mais sta quindi divenendo una coltura di estremo interesse in vista delle imminenti semine, non solo nelle aree più tipicamente vocate, bensì anche in regioni caratterizzate da orientamenti colturali completamente differenti, come per esempio la provincia di Foggia. A causa dell’insoddisfazione sui prezzi concordati con gli industriali, nonché degli elevati costi di produzione, diversi ettari potrebbero infatti passare dal pomodoro da industria al mais, specialmente verso gli ibridi di Classe 500, i più consigliabili in quelle aree. Un’eventualità, questa, da ritenersi impossibile solo un mese fa.
Infine, anche la Commissione europea starebbe per emanare deroghe in tema di superficie minima di terreni da lasciare incolti, in accordo alle regole della nuova Pac che entrerà in vigore a gennaio 2023. Queste prevedono infatti che le aziende agricole di dimensioni superiori a dieci ettari debbano lasciare almeno il 4% dei terreni incolti, a vantaggio della biodiversità. Tale deroga, che influirà però sulle superfici seminabili solo dal 2023, è stata resa necessaria per aumentare la produzione alimentare dell’Unione e meglio fronteggiare l’impatto della guerra sugli approvvigionamenti dall’estero, attuali e futuri. Stanti questi scenari, diviene quindi strategico ridisegnare velocemente i piani di semina, selezionando gli ibridi più funzionali alle proprie aziende con l’obiettivo di coprire almeno parzialmente la domanda interna di mais, lievitata nel volgere di poche settimane.