Bruciare i residui in campo? Si può fare, non è reato. Con la legge 116 dell’11 agosto scorso la bruciatura dei residui colturali diventa a tutti gli effetti una pratica ammessa dalla legislazione italiana. Con questa legge si stabilisce infatti che la combustione di stoppie, sarmenti, sfalci o potature in campo rappresenta una normale pratica agronomica «per il reimpiego dei materiali di risulta delle attività agricole come sostanze fertilizzanti».
Finalmente è stato fatto ordine nel “caos normativo” creato fino ad oggi dalla sovrapposizione tra legislazione nazionale, il decreto legislativo 152/2006 o codice ambientale che considerava “rifiuti” tutte le sostanze di cui qualcuno volesse disfarsi, direttive regionali e ordinanze comunali.
Attenzione ai quantitativi giornalieri però: non vanno superati i tre metri cubi per ettaro.
Ecco in breve cosa prevede la nuova normativa: all’articolo 182 comma 6-bis della legge n. 116, in particolare, si prevede che «le attività di raggruppamento e abbruciamento in piccoli cumuli e in quantità giornaliere non superiori a 3 metri steri (3 metri cubi) per ettaro dei materiali di cui all’articolo 185, comma 1, lettera f), effettuate nel luogo di produzione, costituiscono normali pratiche agricole consentite per il reimpiego dei materiali come sostanze concimanti o ammendanti, e non attività di gestione dei rifiuti. Nei periodi di massimo rischio per gli incendi boschivi, dichiarati dalle Regioni, la combustione di residui vegetali agricoli e forestali è sempre vietata».
Altra cosa a cui prestare particolare attenzione è l’origine del materiale da bruciare, che deve essere esclusivamente di risulta di attività agricole. Se dopo un controllo venissero rinvenuti altri materiali riconducibili a rifiuti si infrangerebbe il codice ambientale, che ha regole (civili e penali) ben precise.
Giusto per dare due cifre ricordiamo che la gestione illecita di rifiuti è punita con l’arresto da 3 mesi a un anno o un’ammenda da 2.600 a 26.000 euro alternativa. Meglio non fare i furbi.