Glifosate, usi sostenibili e allevamenti: aggiornamenti da Bruxelles

Nel corso del 2023 sono state prese decisioni importanti per l’agricoltura italiana ed europea. Bene per agrofarmaci e allevamenti, nulla di fatto per le Tea, le tecniche di evoluzione assistita

Il 2023, in special modo in autunno, è stato particolarmente denso di appuntamenti su temi di estrema importanza per l’agricoltura. Sui tavoli di Bruxelles pesavano infatti decisioni tutt’altro che facili da prendere, anche perché alcune di esse potevano rivelarsi vere e proprie inversioni di rotta rispetto a posizioni già date per certe.

I temi in discussione fra novembre e dicembre erano il rinnovo di glifosate nel Vecchio Continente e la rimodulazione delle percentuali di riduzione negli usi di agrofarmaci in Europa. Due punti del contendere che si sono per fortuna evoluti positivamente per il comparto, in linea con quanto visto ad aprile scorso in tema di allevamenti.

Allevamenti: niente equiparazioni con l’industria

Partendo da quest’ultimo punto, è stata respinta la proposta di equiparare gli allevamenti alle industrie sul piano delle emissioni. Partita dalla Commissione Ue, tale proposta prevedeva la revisione della Direttiva sulle emissioni industriali includendovi anche il comparto zootecnico.

Se ciò fosse passato, agli allevamenti sarebbe stata assegnata la denominazione di “impianti industriali”. In sostanza, sarebbero state equiparate a strutture industriali le attività zootecniche anche se di medio-piccole dimensioni. Una proposta che aveva ovviamente sollevato vivaci contestazioni per via della grande differenza che intercorre fra una stalla con cento lattifere e uno stabilimento che, per esempio, produce solventi o impianti che estraggono carbone.

Tale ipotesi, come detto, è stata però bocciata con ampia maggioranza dalla Commissione agricoltura del Parlamento europeo (Comagri), evitando una equiparazione che di fatto avrebbe spiazzato e messo in forti difficoltà molti allevamenti italiani a carattere poco più che familiare. Pure avrebbe inasprito le incombenze a carico degli allevamenti più strutturati, già gravati oggi da impegni importanti sul tema dei liquami e del benessere animale.

Riduzione di agrofarmaci: rimodulate percentuali e scadenze

Antefatto: in ottica Farm2Fork erano state fissate riduzioni nell’uso degli agrofarmaci del 50%, in generale, e del 62% per l’Italia, in particolare. Ciò in base agli usi di agrofarmaci per ettaro che in Italia sono significativamente più alti della media europea. Un dato che deriva dal fatto che il 18,4% della SAU nazionale è investito a colture permanenti, cioè vite e fruttiferi, contro il 7,4% della media europea.

Fruttiferi e vite richiedono infatti molti più trattamenti all’anno delle colture “basse” come cereali, mais o soia. In più, gran parte delle applicazioni sono effettuate con zolfo e rame, agrofarmaci ad alto dosaggio per ettaro che, pur essendo ammessi anche in Biologico, appesantiscono i bilanci fitosanitari italiani.

Peraltro, va ricordato come il metodo di calcolo adottato per determinare le percentuali di riduzione tralasciasse gli utilizzi nelle aree extra agricole, come ad esempio i diserbi delle linee ferroviarie, dei bordi stradali e l’utilizzo da parte dei privati.

Rispettare la diminuzione del 62% entro il 2030 era quindi obiettivo irrazionale e di fatto irraggiungibile. Soprattutto pensando che in Italia si sono già dimezzate le tonnellate di agrofarmaci impiegate rispetto a quanto risultava nel 1990.

Il Parlamento europeo ha quindi bocciato la proposta della Commissione UE per il Regolamento sostitutivo della direttiva 2009/128/Ce sull’uso sostenibile dei prodotti per la protezione delle piante.

Nella seduta plenaria del 22 novembre 2023 sono stati quindi 299 i voti contrari, 207 i favorevoli e 121 gli astenuti. Motivazione: la proposta non teneva in debita considerazione la capacità produttiva dell’agricoltura europea e, soprattutto, di quella di Paesi come l’Italia, caratterizzati da un’agricoltura fortemente vocata a frutticoltura, viticoltura e orticoltura specializzata.

La proposta di riduzione negli usi comunque permane, ma rimodulata con un minimo del 35% entro il 2035, dando quindi cinque anni in più per raggiungere tale obiettivo. Una sfida che resta comunque ambiziosa, ma più ragionevole.

Glifosate: sì per altri dieci anni

Promosso più volte da Efsa, l’Autorità europea per la sicurezza alimentare, glifosate ha ricevuto il benestare anche della Commissione europea, la quale ha proposto al Parlamento di Bruxelles di votare a favore del rinnovo per dieci anni dell’erbicida.

Purtroppo, a livello parlamentare non è stata raggiunta la maggioranza qualificata, con diversi Stati Membri che si sono astenuti. Caduta quindi nel vuoto anche l’ultima votazione possibile, la Commissione ha di fatto deciso al posto del Parlamento, concedendo il rinnovo decennale.

Nei prossimi dieci anni dovranno però essere prodotti alcuni studi al momento mancanti o insufficienti. Questi “data gap” erano stati ravvisati da Efsa nel corso della valutazione finale. L’Autorità ha quindi sollecitato i produttori all’approfondimenti di alcuni specifici temi. Per esempio, quelli legati alle acque e alla biodiversità.

Ciò che però più conta è che l’agricoltura europea potrà contare ancora sull’erbicida. In caso contrario il Vecchio Continente sarebbe stato l’unico al mondo a non poterlo più impiegare, perdendo ulteriormente competitività nei confronti dell’estero. 

Decisione rimandata per le Tea, tecniche di evoluzione assistita

La Commissione europea aveva proposto di mantenere le nuove tecniche di Genome Editing, conosciute anche come Crispr-Cas9 o, in Italia, come Tecniche di evoluzione assistita (Tea), al di fuori delle norme continentali vigenti sugli OGM. Norme particolarmente stringenti, queste, che permettono anche a ciascun Stato Membro di vietarne la coltivazione anche se autorizzati in Europa.

Tale esclusione avrebbe permesso alle colture geneticamente modificate tramite Tea di essere sviluppate, autorizzate e commercializzate al pari delle varietà convenzionali. Il tutto, senza particolari ostacoli normativo/autorizzativi.

A metà dicembre il Consiglio europeo ha messo ai voti tale proposta senza giungere però a un risultato, mancando la cosiddetta “maggioranza qualificata”. I voti dei singoli Stati pesano infatti in modo diverso in funzione della popolazione che rappresentano. Per passare, una proposta deve raggiungere almeno il 65% della popolazione continentale.

In tal caso, l’11 dicembre scorso i ministri dell’Agricoltura non hanno raggiunto la maggioranza: in termini di Stati membri sono stati 17 i voti a favore, contro gli 8 contrari e i 2 astenuti. Tradotto in termini di popolazione si è espresso a favore il 60,35%, mentre il 19,53 ha votato contro e il 20,12% si è astenuto. L’Italia è fra i Paesi che hanno votato a favore. Si attende ora che la votazione venga ricandelarizzata.