Un feto di sesso femminile è in grado di influenzare positivamente la produzione di latte
Migliaia di allevatori registrano costantemente quanto latte producono le vacche nei loro allevamenti, in termini di volume e qualità e tutte queste informazioni supportano dei modelli matematici che aiutano a predire la quantità totale di latte che una vacca può produrre durante tutto il ciclo produttivo. Gli allevatori utilizzano queste informazioni ogni giorno per decidere come curare e allevare i loro animali e rispetto agli anni 40′ le vacche di oggi producono latte in quantità quattro volte superiore.
Katie Hinde, una biologa evoluzionista (studiosa della biologia del latte), docente presso la Harvard University, nel 2012 ha analizzato un complesso volume di dati su un campione di 1.490.000 vacche Holstein relativamente ai
parametri di lattazione (2.390.000 dati osservati). L’analisi ha evidenziato che le vacche producono più latte quando, alla loro prima gravidanza, partoriscono un individuo di sesso femminile, rispetto ad uno di sesso maschile. I risultati di questo studio si presentavano in contraddizione con un’ipotesi di lunga data sulle modalità con cui gli animali investono sulla loro prole, secondo criteri per i quali, anche le vacche, dovrebbero favorire i figli anziché le figlie.
Sin dal 1970, i biologi hanno dimostrato che in alcuni mammiferi le madri non trattano tutti i loro figli allo stesso modo, investendo più in un sesso rispetto all’altro e si tratta sempre di quello maschile. La spiegazione più famosa per questo modello è stato proposta da Robert Trivers e Dan Willard i quali hanno sostenuto che le femmine in ottima salute dovrebbero dedicare maggiori risorse al sesso che ne trae un maggior beneficio evolutivo. In tal senso, soprattutto nelle specie in cui i maschi competono per le femmine, un figlio in forma e forte potrebbe potenzialmente fecondare decine di femmine in un breve lasso di tempo, mentre uno debole non avrebbe le medesime possibilità. Per contro, le figlie impiegano tempo ed energie durante la gravidanza per aumentare la progenie e la perpetuazione della specie e quindi influenzare il numero massimo di figli ottenibili per ogni ciclo vitale. Quindi, se un babbuino, un cervo o un elefante volesse aumentare la sua progenie, dovrebbe dedicare più sforzi per rendere i maschi più competitivi possibile; ci sono molti modi per farlo, avere più figli, o dare alla luce figli più grandi, oppure, in alternativa, è possibile utilizzare il latte . Il latte è la principale fonte di nutrienti per i mammiferi in età post natale ma lo sforzo sostenuto dalle madri per produrlo è elevato.
La Hinde dopo aver sintetizzato questo lavoro nel 2012, ha comunque osservato che questo era un settore di ricerca di nicchia con molte domande senza risposta . Ad esempio, possono i feti di sesso maschile e femminile programmare le ghiandole mammarie della madre in modi diversi mentre sono ancora nel grembo materno ? Quando lo scienziato Barry Bradford lesse il post della Hinde, si rese conto che le vacche potrebbero aiutare ad affrontare la questione. La preziosa rilevazione tenuta nei registri del settore avrebbe consentito di capire facilmente quanto latte le vacche offrono ai loro vitelli e dal momento che questi vengono separati dalle loro madri subito dopo la nascita, sarebbe stato possibile misurare l’influenza del feto, senza doversi preoccupare se i vitelli avessero avuto un’influenza dopo la nascita . Bradford ha quindi contattato la Hinde attraverso Twitter chiedendole se voleva collaborare.
La Hinde ha accettato, perché, sapendo come ottenere i dati le mancava solo la possibilità di interpretarli a livello teorico ed in questo poteva aiutarla Bradford. Il team ha recuperato quindi tutti i dati di allattamento dal 1995 al 1999 pulendoli da voci incomplete o duplicate. Hanno elaborato 2,39 milioni di registrazioni, comprendo un range di 1,49 milioni di lattifere. Il risultato è stato nuovamente molto chiaro: le vacche fanno più latte quando partoriscono figlie rispetto ai figli. Il latte non contiene più grassi o proteine quindi la sua qualità è la stessa ma viene prodotto in quantità superiore. La prima gravidanza è cruciale in quanto da essa prende il via lo sviluppo delle ghiandole mammarie della vacca creando una linea di base che si riflette su tutte le gravidanze successive. In particolare concentrandosi su 113.750 vacche, il team della Hinde ha dimostrato che il sesso del primo vitello ha effetti di lunga durata.
Dopo il parto, una vacca produce latte per 305 giorni e durante questo lasso di tempo, viene fatta ingravidare nuovamente. Questo significa che l’animale è incinta del secondo vitello, mentre sta ancora allattando per il primo. Se il primo vitello è un maschio, le madri sono permanentemente penalizzate circa la quantità di latte che possono produrre e questo in maniera ancora superiore se il secondo figlio è ancora un maschio. Se invece al secondo parto nasce una femmina il deficit produttivo viene in parte compensato ma mai completamente. Al contrario, una figlia al primo parto ‘protegge’ la produttività della vacca anche dagli effetti negativi di un maschio al secondo turno. In sintesi, una vacca che ha una figlia alla prima gravidanza produce una media di 445 kg più latte su due cicli di lattazione rispetto alla media delle vacche che hanno due figli maschi. Questo è un numero considerevole, pari a un aumento della produzione del 2,7 per cento!
Questi risultati (pubblicati il 24 gennio 2014) sono un duro colpo per l’ipotesi degli anni 70’ di Trivers – Willard, secondo la quale dovrebbero essere i maschi a beneficiare di una spinta evolutiva maggiore. Le vacche da latte sono le versioni evolute di bovini ormai estinti (Bos primigenius) i cui maschi, molto più grandi delle femmine devono aver gareggiato intensamente per le compagne e questo è forse un classico esempio del modello di società animale proposta da Trivers e Willard, eppure, i loro discendenti moderni investono maggiori risorse sulle figlie rispetto ai figli. Questo non significa che l’ipotesi postulata negli anni 70’ sia sbagliata, solo che non è così universale come si pensava .
Quindi, perché le vacche investono di più nelle figlie?
Si può intuire che il latte possa accelerare lo sviluppo di una femmina la quale può quindi iniziare a riprodursi prima partorendo più figli durante tutto il periodo riproduttivo mentre i tori non avendo questa “fretta” evolutiva, cominciano a riprodursi più tardi e quindi hanno modo (hanno più tempo) per compensare eventuali carenze di latte in età neonatale Forse la domanda giusta è: perché sono i feti “femminili” a indurre le madri a produrre più latte ? Probabilmente si tratta di influenze ormonali, ovvero i feti femminili producono più estrogeni che possono attraversare la placenta diffondendosi nel sangue della madre e quindi influenzare lo sviluppo delle sue ghiandole mammarie . I figli possono produrre anche loro estrogeni, ma questi potrebbero andare in contrasto con lo sviluppo dei loro genitali. Forse le figlie possono inviare più ormoni alle loro madri senza alcun rischio per se stesse.
In entrambi i casi, i risultati della Hinde hanno implicazioni per il settore lattiero-caseario . L’industria lattiero casearia potrebbe garantire che la maggior parte dei vitelli nasca di sesso femminile ma dovendo separare lo sperma questo in passato non sembrava essere efficace in termini di costi/benefici, tuttavia potrebbe valere la pena se porta ad un incremento del 2,7 per cento nella produzione di latte.