Una pratica fondamentale per il mantenimento della fertilità dei suoli e per l’accelerazione dei processi di degradazione dei residui
A seguito della raccolta del mais da granella, i residui (radici, stocchi, foglie, tutoli) dopo l’interramento sono soggetti a fenomeni di mineralizzazione, in altre parole iniziano un processo di decomposizione che può impiegare da 2 mesi a 3 anni (l’ampio intervallo dipende dall’interazione di molteplici fattori). La decomposizione del materiale organico si verifica in presenza di microrganismi eterotrofi che necessitano di energia e di fonti di azoto per lo svolgimento delle proprie funzioni e la sintesi dei propri composti. La sostanza organica viene degradata ad anidride carbonica e acqua, e l’azoto viene
riutilizzato in processi che portano a una complessiva riduzione del rapporto tra carbonio e azoto. La velocità di degradazione non è influenzata solo dalla resistenza intrinseca delle molecole a seconda del tipo di struttura chimica, ma anche dalla loro interazione con la frazione minerale. Le trasformazioni cui la sostanza organica del suolo è sottoposta avvengono grazie a un insieme di reazioni chimiche e biologiche dove la fauna del suolo ha un ruolo fondamentale. Inizialmente gli animali (macro e mesofauna) provvedono alla riduzione delle dimensioni dei residui vegetali. Gli enzimi prodotti dai microrganismi sono importanti in questa prima fase di decomposizione, durante la quale si ha una rapida perdita dei composti facilmente degradabili come zuccheri semplici, amminoacidi, molte proteine ed alcuni polisaccaridi. In uno stadio successivo vengono attaccati i composti più resistenti, come cellulosa e lignina.
L’accumulo o la diminuzione di sostanza organica nel suolo dipende anche dalla quantità e qualità dei residui biologici che arrivano al suolo e dal tipo di microflora presente. La velocità di decomposizione della sostanza organica dipende inoltre da altri fattori tra cui le condizioni climatiche, le proprietà del suolo, la necessità di nutrienti da parte della pianta e l’uso del suolo.
Generalmente , nei suoli sia incolti che coltivati delle zone climatiche umide il rapporto tra Carbonio e Azoto C/N si stabilizza intorno a valori compresi tra 10 e 12, in altre parole ogni 10/12 grammi di Carbonio c’è un grammo di Azoto.
Se consideriamo il mais, il rapporto C/N delle foglie è 32:1, degli stocchi 33:1 e delle radici 43:1. Tenuto conto che l’attività microbica viene esaltata dalla disponibilità di azoto, saranno maggiormente suscettibili di completa decomposizione i materiali organici per i quali minore è il valore C/N. I residui con rapporto C/N inferiori a 20 contengono quantità di Azoto organicato sufficienti a soddisfare le necessità delle entità biotiche e, in conseguenza di attiva mineralizzazione, le esigenze nutritive delle piante. I materiali organici caratterizzati da valore di C/N maggiori di 30 (è questo il caso dei residui di mais), non fornendo adeguate quantità di Azoto, costringono i microrganismi ad utilizzare per la produzione di biomassa tutte le forme azotate disponibili nel terreno, impoverendolo e indicendo conseguentemente temporanee difficoltà nutrizionali per le piante.
Quanto Azoto dobbiamo quindi integrare nel suolo per favorire la decomposizione dei residui di mais?
Alcune stime indicano che circa un 35 % di Carbonio della sostanza organica “fresca” ( residui) sarà convertito in Humus se vi è sufficiente disponibilità di Azoto. Assumento si tratti di un mix di foglie e stocchi per un peso totale di circa 5 t sostanza secca /ha con un rapporto C/N di 33:1 che debba stabilizzarsi a 10:1 (valore medio del suolo) sono necessari circa 60 kg di azoto per completare il processo. Mediamente anche piccoli apporti di azoto (con concimi complessi con Fosforo e Potassio o come Urea) possono garantire un effetto “starter” e quindi una più rapida decomposizione dei residui e un minor consumo di forme azotate disponibili nel terreno.
Naturalmente stiamo considerando il totale interramento dei residui (aratura). La quantità di azoto da apportare diminuisce nel caso in cui, applicando pratiche di agricoltura conservativa, i residui rimangano parzialmente in superficie.Nel caso del NO-Tillage (sodo) in cui i residui rimangono totalmente in superficie, recenti studi condotti dall’Iowa State University mostrano l’inutilità di apportare azoto per velocizzarne e aiutarne la degradazione, ritenendola anzi una pratica non raccomandabile in quanto le unità fertilizzanti distrubuite sono quasi totalmente a rischio lisciviazione superficiale.