Mais: l’arrivo dell’estate e i pericoli di eventi climatici avversi
Nel periodo tra giugno e luglio la coltura è esposta a diverse bizzarrie del meteo, ancora instabile a causa della transizione fra primavera ed estate. Cosa accade al mais e cosa fare per limitare i danni
Passare da una primavera che ricorda la fine inverno a una che anticipa già la prima estate è un attimo. Giugno è infatti da sempre un mese di alta instabilità metereologica e termica, a causa dell’avvicinarsi del solstizio d’estate, alla fine della terza settimana del mese, momento nel quale sono massime le ore di luce e minime quelle di buio. Se da un lato tale condizione favorisce la grande capacità fotosintetica del mais, dall’altro favorisce anche forti escursioni termiche e di umidità relativa passando dalle ultime ore della notte alle ore centrali del pomeriggio. Ciò comporta forti accumuli di umidità nelle parti basse dell’atmosfera, forieri di possibili temporali accompagnati da forte vento, indotto quest’ultimo proprio dall’incontro delle correnti ascensionali calde con gli strati più freddi dell’atmosfera stessa. Ecco perché le prossime settimane possono rivelarsi incerte e in qualche modo ansiogene, poiché contro i capricci del meteo ben poco si può fare, bastando una grandinata per cancellare i frutti del proprio lavoro su ampie strisce di territorio. Se poi ciò accade durante la fioritura il danno può essere ancora più sensibile, interferendo i rovesci meteo proprio con la fase in cui il polline deve scendere sulle sete fiorali femminili per fecondarle. Sebbene la fioritura del mais duri alcuni giorni, ogni temporale occorso nel frattempo interferisce infatti con il naturale processo di impollinazione, causando nelle condizioni più severe anche perdite di produzione a causa della bassa percentuale di fecondazione delle spighe. A contrastare tali avversità climatiche ci hanno pensato la natura e la ricerca genetica.
Grazie all’interazione delle caratteristiche naturali del mais con i miglioramenti operati dalla ricerca, oggi si può contare su organi riproduttivi potenti, con un numero di antere che può oltrepassare le 6.000 unità per singolo pennacchio. Imponente anche il peso del polline prodotto, il quale può giungere fino a 250 chilogrammi per ettaro, destinati a cadere per oltre il 90% all’interno dell’appezzamento sul quale insiste la coltura. In sostanza, la natura prima e la selezione genetica poi hanno fatto sì che l’abbondanza di polline e la durata della fioritura permettessero alla coltura di contrastare anche gli eventuali danni da temporali, anche se intensi. Ovviamente, sebbene si possano scegliere e seminare i migliori ibridi a disposizione sul mercato, natura e ricerca ben poco possono fare contro la grandine o altri eventi straordinariamente violenti. In tal caso l’unico rimedio atto a proteggere il reddito, almeno in parte, è stipulare apposite assicurazioni.